L’Apocalisse dei piccoli

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E’ iniziata così, per una proposta di utilizzo di una mia vignetta da parte di Pier Maria Mazzola (tra l’altro ex direttore di Nigrizia), una collaborazione con "Amani". Conoscevo "Amani" molto poco, ma sapevo dei suoi progetti e della sua “fratellanza” con Peacelink. E’ iniziata così dicevo, quasi per caso. Poi mi è arrivato il numero di giugno con la mia vignetta e ho letto tutto il giornale. Ho scoperto una piccola ma eccezionale pubblicazione. Eccezionale per i suoi pezzi ed i suoi collaboratori, per i suoi progetti, per la sua informazione sull’Africa. Il giornale (arrivato al numero di luglio, e con altre mie vigne) si può anche leggere in pdf e lo consiglio caldamente a tutti. Oggi mi consta segnalare l’articolo uscito col numero di giugno (che riporto integralmente) di Renato Kizito Sesana (giornalista e padre comboniano, socio fondatore di Amani) per i motivi che voi troverete leggendolo, ma dedicato soprattutto ai miei colleghi del Villaggio Litta, per il difficile momento (non lo racconterò stavolta, ma chi lavora al Villaggio con me può ben capire) che stiamo attraversando. Buona lettura.

L’Apocalisse dei piccoli
Chi pretende di conoscere le idee di Dio e chi, semplicemente, sa scorgere il Dio che viene.
di Renato Kizito Sesana
Viviamo, dicono, in tempi difficili. Anzi alcuni affermano che stiamo vivendo gli ultimi tempi, e vedono in corso una gigantesca lotta fra il Bene e il Male. Naturalmente loro stanno dalla parte del Bene, e beati loro che hanno le idee così chiare.
Fra questi beati ci sono i leader del cosiddetto Sionismo Cristiano. A me capita spesso – quando mi alzo prestissimo al mattino, quando in Kenya si ricevono gratuitamente alcuni canali televisivi americani – di sentire tipi come Tom DeLay, Jerry Falwell e Pat Robertson, che è addirittura stato candidato presidenziale per il Partito repubblicano, declamare le loro tesi. Sostengono che tutte le azioni intraprese dal governo di Israele sono approvate da Dio, che quando Israele sarà ricostituito arriverà la fine dei tempi, e quindi i cristiani devono sostenere Israele per accelerare il ritorno di Cristo. Peggio per loro se i palestinesi si trovano dalla parte sbagliata.
Non c’è nessuno più pericoloso di chi è certo di conoscere la mente di Dio. Io intanto metto un po’ d’ordine nelle mie carte, e guardo dalla finestra il cortile di Kivuli e il grande dormitorio dove i bambini sono persi in un sonno beato, con lo stomaco pieno, protetti ed amati, e mi domando ma veramente quel tipo lì che parla in televisione ed io crediamo nello stesso Gesù?
Mi viene in mente Lilian, una bimba di Lusaka che aveva sei o sette anni, agli inizi degli anni ’80. Mi hanno detto pochi giorni fa che è già morta da qualche anno, di aids. Me la ricordo con un vestitino rosa, i capelli crespi raggruppati in due enormi pompon e i piedi scalzi. Ero andato a visitare la famiglia di un ragazzo che voleva entrare a far parte di Koinonia. Lilian era venuta ad aprire. Mi aveva guardato con gli occhi sbarrati. Evidentemente il mio aspetto le aveva evocato un’immagine del libro di catechismo ed era corsa sul retro, dove la mamma stava attizzando il fuoco sotto la pentola. Con voce controllata, ma con un’altissima nota di allarme, aveva detto: «Mama, ndi nthawi yotsiriza, Mulungu a rnphamvu zonse ali kulowa m’nyumba yathu!». Non lo dimenticherò mai, perché vuoi dire: "Mamma, sono i giorni della fine (del mondo), Dio onnipotente sta entrando nella nostra casa!". Povera Lilian. Per te sono stati tempi veramente diffìcili, di cuori induriti che ti hanno lasciato morire perché le compagnie farmaceutiche non hanno voluto abbandonare il sacro principio del profitto, sempre e comunque.
Io credo che in questi tempi, che poi sono i tempi di sempre, non dobbiamo affidarci a nessuna visione apocalittica. Certo, dobbiamo impegnarci al massimo perché tipacci come Osama bin Laden e George W Bush non ci impongano le loro diverse e diversamente malate visioni del mondo. Ma dobbiamo anche essere capaci di vedere, riconoscere il nostro Dio, il Dio di Gesù che ci visita negli eventi di ogni giorno. Lilian aveva esagerato un tantino nel veder in me: Mulungu a rnphamvu zonse, ma aveva l’atteggiamento giusto.
Derik, di Kivuli, aveva 13 anni, più o meno, quando è morto nel settembre del 2004, soffocato da una crisi di epilessia. Era robusto, per la sua età, e non parlava quasi mai. Era arrivato a Kivuli tre anni prima, con un taglio profondo sulla testa, segno di una bastonata datagli da una matrigna. Ogni volta che tornavo a Kivuli mi stringeva in un abbraccio forte, silenzioso, che durava anche alcuni minuti. Le braccia intorno alla mia vita, il capo appoggiato sul mio petto, quasi a sentirmi il cuore, stava lì, in piedi, senza mai lasciarmi andare. Ho pensato già la mia strategia, quando sarà il mio turno per apparire davanti al Giudice: chiederò che chiamino Derik, e voglio vedere se riescono a separarmi da lui.
C’è a Kibera un gruppo di ragazzi e ragazze che vivono in situazioni indescrivibilmente disumane. Mi sono impegnato con loro in un progetto educativo, e non finisco mai di essere sorpreso di come i loro sogni siano semplici e puliti, e della loro voglia di giustizia, di impegnarsi per cambiare il mondo. Incontrarli è sempre una sfida. C’è una ragazza che è esasperante, non da niente per scontato, ogni volta rimette tutto in questione, niente è mai stato fatto abbastanza bene. Qualche tempo fa si parlava della possibilità di fare a Kibera un giornale di strada, che aiuti la gente a fare comunità e a condividere i problemi. I pareri erano per lo più negativi. Mancano i soldi, manca la professionalità, manca il tempo e la voglia, quando si deve lottare tutto il giorno per riempirsi la pancia… Esther si guardava intorno, poi con grande calma ha detto: «Ragazzi, a noi manca soprattutto la voglia di essere uomini. Io questa cosa vado avanti a farla». Eravamo seduti sul prato fuori della Shalom House. Gli altri sono stati cinque minuti a guardarsi la punta delle scarpe, poi uno ha detto «hai ragione», e da allora nessuno più si è fermato.
Che connessione hanno queste persone con le cose di cui stavo parlando? Forse volevo dire che le cose grandi il Signore ce le sussurra. Che Lui ci visita in punta di piedi. E’ il suo stile. Come la brezza leggera che parla ad Elia; il sale stemperato nel cibo; il lievito nascosto nella pasta. Se ci visitasse con la pienezza della sua luce ci accecherebbe, bisogna invece riconoscerlo nei frammenti della vita quotidiana. Forse volevo anche dire che gli impegni importanti, quelli che danno sapore, colore, senso ad una vita, crescono adagio, sembrano episodi scollegati, ma poi, col tempo, uno si accorge che c’è un ordito che tiene tutto insieme. O anche che l’impegno per la costruzione di un mondo migliore ha dei momenti di tenerezza che ti danno forza e luce per mesi e per anni. Il puzzo delle fognature di Kibera, le lacrime disperate delle mamme che depongono i loro figli di pochi anni nella terra, le ferite putrefatte dei soldati nuba, la ribellione negli occhi di un adolescente che deve abbandonare la scuola e andare a lavorare perché la sua famiglia è troppo povera per mantenerlo a scuola, tutte queste cose riesci a sopportarle perché Derik ti ha abbracciato in quel modo. Sono le persone piccole che ti fanno capire che vale la pena impegnarti per i grandi cambiamenti. Questo, almeno, è vero per me. Nei piccoli, di età o di spirito, c’è una bellezza speciale. Di quella bellezza che, come ha scritto Nagib Mahfùz, «è un sussulto del cuore che ferisce, un soffio di vita che si spande nell’anima, uno smarrimento nel cui etere lo spirito veleggia ad abbracciare i cieli». L’apocalittica cristiana, al contrario di quella del Sionismo Cristiano, non ci insegna a sconfìggere il nemico con la forza delle armi, ma ci dice di tenere gli occhi aperti, e il cuore pronto a riconoscere, pur nel profondo della crisi, i segni dell’inizio di un mondo nuovo. Il mattino è vicino. La Pasqua è qui, amici. Chi era sconfìtto, crocifisso nel luogo dell’infamia, fuori dalle porte della città, è adesso il Signore Risorto. La tunica è ancora intrisa di sangue, i piedi scalzi, le ferite aperte. Ma ci sorride e ci fa cenno di seguirlo.

Written by Mauro Biani

Luglio 3rd, 2006 at 2:24 am

3 Responses to 'L’Apocalisse dei piccoli'

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  1. “Forse volevo dire che le cose grandi il Signore ce le sussurra. Che Lui ci visita in punta di piedi. E’ il suo stile. Come la brezza leggera che parla ad Elia; il sale stemperato nel cibo; il lievito nascosto nella pasta. Se ci visitasse con la pienezza della sua luce ci accecherebbe, bisogna invece riconoscerlo nei frammenti della vita quotidiana.”

    e ancora:

    “L’apocalittica cristiana, al contrario di quella del Sionismo Cristiano, non ci insegna a sconfìggere il nemico con la forza delle armi, ma ci dice di tenere gli occhi aperti, e il cuore pronto a riconoscere, pur nel profondo della crisi, i segni dell’inizio di un mondo nuovo. Il mattino è vicino. La Pasqua è qui, amici. Chi era sconfìtto, crocifisso nel luogo dell’infamia, fuori dalle porte della città, è adesso il Signore Risorto. La tunica è ancora intrisa di sangue, i piedi scalzi, le ferite aperte. Ma ci sorride e ci fa cenno di seguirlo. ”

    Parole bellissime. Che danno speranza in una landa senza vita come è quella del sud del mondo (compreso il sud italia).

    [stone]

    utente anonimo

    3 Lug 06 at 13:09

  2. che dire? se in tutta questa sofferenza c’è un disegno piu grande forse siamo troppo piccoli per vederlo-

    ma questi innocenti che colpa ne hanno per me resta un mistero

    daisi

    daisi

    3 Lug 06 at 18:07

  3. Grazie Daisi, grazie Stone.

    M.

    broiolo

    4 Lug 06 at 12:43

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