Educatore/I principi per un Modello Educativo in Acinque: la “Relazione, strumento creativo”

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I principi per un Modello Educativo in Acinque: la “Relazione, strumento creativo”

di: Mauro Biani

Introduzione
Il lungo Percorso verso la “Relazione creativa”
I principi per un Modello Educativo in Acinque: La “Relazione, strumento creativo”

 

“Quello che interessa fortemente,
è che gli Educatori Professionali e gli Operatori Sociali in genere, facciano pedagogia,
ossia svolgano riflessioni sui processi educativi che quotidianamente agiscono”
(M. Veronesi, “Elementi per una pedagogia della responsabilità”,
quaderni di formazione di Capodarco, Roma 1994)


Introduzione

Quante volte, parlando del nostro lavoro educativo-abilitativo al Villaggio, si sottolinea l’importanza dell'”uniformità del messaggio educativo”, e si ripete che è giusto ed indispensabile che tutti gli operatori, ed in particolare coloro i quali lavorano ed interagiscono all’interno dello stesso gruppo (ovvero della stessa Casetta) con gli stessi ragazzi, abbiano una “linea comune”.
Concetti quasi “banalizzati” tanto “appaiono” condivisi da tutti…
Viene così in mente, che per avere una linea comune servono innanzitutto obiettivi comuni e poi modalità d’intervento condivise dal gruppo degli operatori.
Tutto ciò è ben lungi da essere di applicazione “banale”. Peraltro, se si considerano le condizioni particolari di ognuno dei ragazzi, a volte può emergere un dato di “disorganizzazione” del nucleo familiare di provenienza. Ciò può implicare difficoltà “organizzative e di gestione” del gruppo-famiglia, arrivando, in taluni casi, anche alla confusione di regole e di ruoli tra l’adulto-familiare e il ragazzo.
Dall’accoglienza nelle Casette, in poi, l’intervento educativo deve orientarsi al riequilibrio di tali disorganizzazioni, attraverso una chiarezza e linearità comunicativa e contenutistica.
Proveremo allora, a raccontare, seppur brevemente, l’esperienza della CasettAcinque-Arcobaleno, per presentare i principi della nostra azione educativa e le modalità d’intervento che quotidianamente sperimentiamo coi ragazzi, la nostra “linea comune”, la nostra “filosofia educativa”.


Il lungo Percorso verso la “Relazione creativa”

Nel 1996, anche stimolati da un repentino, quanto numeroso inizio di cambio d’utenza (molti 18enni dimessi, e al loro posto arrivi di ragazzi piccoli e più gravi), gli Educatori del reparto, tentano una prima “analisi ambientale” della Casetta e dei suoi “inquilini”, riportando su carta (cosa abbastanza inedita), sia la “bozza” di analisi, sia un’ipotesi di programmazione. Un tentativo di lettura organica delle situazioni-problema della Casetta e dei suoi inquilini (ragazzi e operatori).
Questo pone le basi per una discussione tra gli operatori che comincerà a spaziare dall’organizzazione della Casetta, i possibili obiettivi per i ragazzi, le problematiche degli operatori, il loro modo di intendere e vivere il lavoro.
Nascono perciò, le prime “Riunioni di Casetta” (fatte nel dopo-cena, a casa di un operatore, alle quali partecipano, per regola, Educatori, Assistenti e obiettori di coscienza del reparto, preparate ed “animate” dagli Educatori della Casetta e organizzate con una cadenza di una ogni due mesi).
In queste Riunioni di Casetta si ripensano comportamenti, obiettivi e organizzazione, e attraverso queste verifiche e rielaborazioni, ci si confronta prendendo decisioni, concordando la già citata “unica linea educativa”.
Soprattutto si fa esperienza di costituzione di un gruppo attraverso la relazione tra operatori:

“Le relazioni sono processi, ossia non hanno una loro materialità come gli elementi, pur essendo reali e possedendo concretezza e pragmatica. Attraverso le relazioni le persone si influenzano reciprocamente ed istaurano “giochi” utilizzando scambi di parole, pensieri, azioni, reazioni, segni, etc…” (M. Veronesi, “Tertium non datur”, L’operatore sociale nei processi relazionali educativi, Capodarco, Roma 1992).

Tra l’altro le differenze di vedute, di posizioni, lungi dall’essere di “inciampo”, sono invece necessarie alla costruzione della “linea comune”, della “filosofia educativa” della Casetta:

“Noi conosciamo solo attraverso notizie di differenze e che per creare una differenza occorrono almeno due cose. La relazione, dunque, si offre come il tempo/spazio della creazione delle differenze. Le informazioni fornite dalle due persone in relazione, che sono diverse tra di loro, permettono di creare una terza informazione che è di tipologico superiore alle due singolarmente prese. La relazione così appare sia come processo che determina le differenze, sia come prodotto: la qualità emergente dall’incontro di due differenze.” (G. Bateson, “Mente e natura”, Adelphi, Milano, 1984).

Naturalmente il gruppo dei ragazzi e degli adulti-operatori della Casetta è in continua trasformazione, quindi la necessità di verificare e rielaborare “riaggiustando” obiettivi e comportamenti è permanente e ricorrente:

“Nel gruppo una perturbazione, anche piccola applicata in un punto e un tempo adeguati, costringe il gruppo a ridefinire la sua organizzazione.” (dal Paradigma della complessità).

Questo ha fatto sì che le Riunioni di casetta divenissero uno degli strumenti di informazione, confronto, autoformazione, assolutamente “rituali” e indiscussi.
Ciò è confermato dalla partecipazione (dal ’96 ad oggi) della assoluta e costante totalità degli Educatori, degli Assistenti e spesso degli obiettori della CasettAcinque.
Tra l’altro in una Ricerca (studiata dagli Educatori sotto forma di questionario per tutti gli Operatori dell’Acinque, come verifica di fine anno) del 1999 (1), la quasi totalità degli operatori, riconosce le Riunioni di Casetta come il “momento” maggiormente formativo e autoformativo, il più importante momento di confronto e di presa di coscienza del proprio agire:

“L’uomo che sta nel mondo, proprio perché risponde non è un essere passivo. L’uomo ha il potere di intervenire nella realtà, modificandola. Nasce così un agire critico critico e riflessivo, attraverso cui l’uomo scopre che esistere è più di vivere, in quanto coglie sé come situato e datato, si rende conto della sua dimensione temporale è capace di un'”epistemologia temporale”: essere dentro il tempo ma con la capacità di uscire per accogliere nel presente il passato, modificandolo e progettandolo nel futuro.” (Paulo Freire, “l’educazione pratica della libertà”, Mondadori, Milano, 1977).

Nella “classifica” degli operatori, tornando alla già citata Ricerca , vengono dopo le Riunioni di Casetta, le Riunioni d’Equipe, che comunque, viene fatto notare, sarebbero da aumentare di numero: da una ogni quindici giorni, ad una a settimana, viste le sue specificità di incontro, approfondimento e condivisione, con le altre professionalità (Medico, Psicologo, Pedagogista, Sociologo).
Ecco che per la Casetta si afferma da quel momento anche l’esigenza della documentazione, dello scrivere esperienze, osservazioni, progetti, per poter meglio ripensare e rielaborare, condividendo, tra l’altro, nuovi “punti di ri-partenza”:

“E’ l’ambiente relazionale che una persona ha intorno, a determinare il suo grado di benessere: in termini ecologici, ogni essere partecipante alla complessa (dal latino complexus: tessuto assieme) trama della vita è tale solo grazie ad un dare agli altri. E la cessazione del reciproco scambio di doni, significa morte (…). Se la relazione è indispensabile per la sopravvivenza, la con-divisione è indispensabile alla relazione. Come si può infatti, stare in relazione se non si divide con l’altro una parte del proprio tempo, del proprio spazio, delle proprie esperienze, ossia una parte della propria vita?” (M. O’ Connor, “La sostenibilità, l’impegno e l’ineluttabilità dello scambio”, in “Oikos” n° 3/1991, Lubrina Editore, Milano).

Negli anni si “affinano” anche gli strumenti che gli Educatori forniscono a tutto il gruppo, per confrontarsi e per condividere esperienze.
Numerose Ricerche che si riferiscono alle relazioni tra operatori e ragazzi, tra operatore ed operatore, che aiutano la riflessione sulle problematiche e le motivazioni degli operatori, e che rivedono programmi e organizzazioni della CasettAcinque-Arcobaleno, si susseguono fino ad oggi, rimanendo memoria scritta a disposizione di chi la vuole visionare. E che ci aiuta a ripercorrere le “strade” della Casetta.
Ci siamo così educati a questa metodologia, che ormai è diventata l’Identità della Casetta stessa, resistendo, e di più, rafforzandosi ad ogni nuovo cambio di operatore (dal 1996, i cambi di operatori sono stati 6) e ai cambiamenti dei ragazzi.
Alla fine dello scorso anno (1999-2000), riflettendo su questa identità, sul primato della relazione e della condivisione, abbiamo provato a tracciare la nostra filosofia educativa e di intervento, riconoscendo come il nostro essere, la nostra identità, appunto, sia riscontrabile nelle azioni e nelle esperienze d’intervento con i ragazzi stessi.

I principi per un Modello Educativo in Acinque: La “Relazione, strumento creativo”

Principi del “Modello”

  1. Costruire relazioni significative
    2. Dare responsabilita’ (fondando la relazione sulla responsabilità)
    3. Dare fiducia (fondando la relazione sulla fiducia)
    4. Lo “sbagliando si impara”
    5. Lo “spiegare”
    6. L’ascolto, il dialogo e la Comunicazione, scoprire i “linguaggi” di ognuno
    7. Dare sostegno
    8. Consequenzialita’ tra pensiero e azione, e tra azione e “reazione”
  2. Costruire relazioni significative

Tutta l’educazione “democratica” pensiamo che si basi su questo primo e inalienabile principio.
La relazione, è un processo biunivoco, sempre “educativo”, dove le due parti in gioco devono compartecipare alla costruzione e alla crescita di questo processo.
Naturalmente la capacità di “adattamento” e “comprensione”, nel nostro caso, dovrà partire dall’adulto operatore (3) (proprio perché non solo adulto, ma anche “tecnico” dell’educazione…), che accoglie il ragazzo, dando il via al processo.
E’ pur vero, comunque, ed anche “sano”, che ogni ragazzo sceglie l’uno o l’altro tra gli adulti operatori, per stabilire relazioni maggiormente significative. Se non ci fossero queste differenze e differenziazioni, chiaramente, non si potrebbe parlare di relazioni più o meno significative e quindi di azioni educative più o meno “incisive”…
Ricordiamo brevemente che i risultati della costruzione quotidiana e faticosa di una relazione, sincera e mutuale, sono visibili nel rapporto con tutti i ragazzi, che ognuno tra loro, dimostra come può (rispetto all’età, alle sue difficoltà, ecc…)

  1. Dare responsabilita’ (fondando la relazione sulla responsabilità)

Un esempio lampante è quello della sperimentazione ormai triennale dell’appartamento grandi (con i vari servizi dei ragazzi), che anche simbolicamente sancisce la crescita di un ragazzo ( es. : uno dei “grandi” se n’è andato, tocca ad un altro, diventato “grande”, far parte del “club” dei ragazzi grandi).
Altro es.: dare dei piccoli compiti da svolgere ad altri ragazzi (riporre la biancheria propria, mettere a posto la propria stanza, o per tutta la casetta andare a prendere la merenda, preparare un caffè, ecc…).
Maggiori sono le responsabilità e più alto è il loro grado, e maggiormente il ragazzo (rispetto alle sue capacità) si sentirà grande. Ogni volta che viene raggiunto un gradino di responsabilità (e perciò di autonomia) nessun ragazzo vuole tornare indietro (come farebbero ormai i ragazzi grandi senza il loro appartamento? O Massimo senza il lavoro esterno al Villaggio? O Fausto che non può più fare il caffè? O Sandro senza le sue passeggiate da solo in giardino? O Riccardo senza la sua passeggiata dal giornalaio per acquistare “Cioè”…ecc.., ecc..), e il loro impegno è grande nel dimostrare di essere degni di Fiducia…

  1. Dare fiducia (fondando la relazione sulla fiducia)

Fiducia, appunto, è strettamente legata alla responsabilità:
“Adulto hai fiducia in me?” E’ la frase che Riccio ripete spessissimo (soprattutto, ma non solo, dopo una “marachella”…) ed è la cosa che teme più di tutte: la perdita di fiducia in lui (soprattutto con le persone con cui ha costruito una RELAZIONE significativa, appunto). Riccio ha sperimentato e sperimenta la fiducia e la responsabilità che essa comporta: fare i suoi lavoretti in casetta (e non certamente per il valore monetario della paghetta, ma semmai per il riconoscimento “fisico” delle sue responsabilità e della fiducia a lui accordata), avere il famoso mazzo delle chiavi ecc…
La Fiducia, quindi, è la più importante “chiave di volta” della nostra filosofia educativa, strettamente legata alla responsabilità e tutte e due possono esistere solo grazie alla relazione.
Altro che “punizioni” senza senso, il timore anche di una parziale perdita della relazione e delle sue componenti è la più grossa “punizione”…
Ciò nella nostra casetta è esplicito soprattutto con i “Grandi”, e poi con Martino, Riccio, Nino, che sono coloro che ne hanno pienamente coscienza, ma anche con Fulvio, Francesco e Ferruccio, ed infine molto meno (proprio perché non fanno esperienza di responsabilità o molto limitatamente alle loro difficoltà) gli altri 6 ragazzi.

  1. Lo “sbagliando si impara”

Tutto questo prevede una crescita, un percorso che può e anzi deve, prevedere difficoltà ed errori, ma maggiori sono le responsabilità e maggiori sono anche le possibilità di trovarsi in difficoltà. Quindi le esperienze negative e positive, vanno rielaborate coi ragazzi (importantissimi si rivelano sempre i colloqui personali: con i grandi, anche “istituzionalizzandoli” (ad es.nelle periodiche verifiche dell’appartamento) o negli accadimenti “particolarmente importanti” (una difficoltà a scuola o al lavoro etc.).
Ricordiamo l’abitudine acquisite con l’esperienza del “parlarne” da molti
che chiedono loro stessi: “ne parliamo?”. Tra questi (oltre i grandi) citiamo Riccio, Fulvio…

  1. Lo “spiegare”

L’importanza dello “spiegare” da parte dell’adulto, ogni cosa succede, che è successa o che deve succedere, a tutti, anche quelli che sembra non capiscono, o che magari capiscono solo la metà delle parole che usi, ma sicuramente capiscono il tono, la gestualità… e spiegare che quello che succede ha delle ragioni,. Che possono anche essere ragioni difficili da digerire (e molto spesso nelle storie dei nostri ragazzi ci sono ragioni difficili da spiegare) ma che sono ragioni coerenti con la realtà e i contesti che loro vivono tutti i giorni. Spiegare, dunque, con ferma serenità, fino a che non ci si secca la gola…

  1. L’ascolto, il dialogo e la Comunicazione, scoprire i “linguaggi” di ognuno

Anche il punto appena trattato, ci fa ben pensare al determinante ruolo che svolge nella nostra relazione col ragazzo, l’ascolto.
Ascoltare significa essere attenti alle esigenze, alle difficoltà, ai vissuti dei ragazzi. Nella casetta, come abbiamo visto, ci sono molti modi di comunicare, tanti linguaggi: la parola, la gestualità, la postura, il detto e il non detto…il linguaggio verbale e quello non verbale.
Il “ma…ma…” di Dario acquista a seconda della gestualità, della postura del corpo, dei contesti, delle persone a cui si rivolge, significati e richieste diverse; le espressioni da turpiloquio di Riccio o i suoi momenti più “pacati”, comunicano (collegati anch’essi al contesto “spazio-temporale”) a chi li sa “ascoltare” e decodificare, significati e richieste che non devono essere “confuse e corrotte” dal turpiloquio stesso o dalla gestualità brusca e a volte violenta dei suoi atti. Solo quando abbiamo compreso (che è diverso dal “giustificare”) il suo “linguaggio” e soprattutto le ragioni “patologiche” delle sue modalità espressive, noi adulti operatori, pur messi a dura prova, abbiamo potuto “spiegare” Riccio e “spiegarci” con Riccio.

  1. Dare sostegno

E’ quindi fondamentale ricordare come l’operato della casetta è spesso tutto volto a “sostenere” i ragazzi nella loro crescita, ricordando come il lavoro sia immerso nella quotidianità.
I ragazzi dell’A5, vivono nella casetta, e questo è determinante per capire quali sono e come si svolgono gli interventi educativi in un contesto che pur tra le innegabili difficoltà dell’alto numero di ragazzi e dell’organizzazione propria della “forma Istituto” deve cercare di essere un contesto “familiare”.
Il “sostegno” rappresenta, perciò, quell’aiuto, esterno,dell’adulto operatore, dato al ragazzo e in linea con il suo progetto educativo individualizzato.
Ad es. può essere la sicurezza, per il ragazzo, di essere ascoltato sentendosi “protetto” dall’adulto operatore.
E sentirsi protetto non significa sentirsi “coperto” dall’adulto operatore.
Ad es. Carlo, spesso, mette in atto (specie quando è in grossa difficoltà) delle modalità di proposizione del problema, fortemente provocatorie nei confronti degli adulti operatori con cui stabilisce significative e durature relazioni (cioè quelli di cui si può fidare…la fiducia appunto…).
Con ciò richiede fortemente di essere ascoltato, compreso e richiede spiegazioni sul da farsi. Solo dopo il “chiarimento” che prevede anche un grosso lavoro di contenimento (a volte anche fisico, ma sempre meno) del ragazzo, Carlo finisce il suo percorso, finalmente rassicuratosi sulla “giustezza” della decisione da prendere e sulla fedeltà e la protezione dell’adulto in questione.
Spesso il primo passo di un sostegno, portato in un momento particolarmente difficile e ansiogeno per il ragazzo (vedi ad es. Riccio), non è quello di rimproverarlo o minacciarlo, ma è il tentativo, che non deve essere mai stanco, di abbassare quell’ansia, parlando a bassa voce, dando risposte, fornendo proposte e sicurezze, anche piccole, ma vere, verificabili e molto legate alla realtà.
Anche in questo caso nonostante estenuanti provocazioni del ragazzo e proposte di “contrattazioni” dell’adulto, ciò che rimarrà di più importante, sarà la sicurezza per il ragazzo di sapere che c’è qualcuno che lo considera una Persona.

  1. Consequenzialità tra pensiero e azione, e tra azione e “reazione”

Una chiarezza ed una limpidezza dei comportamenti e delle decisioni da parte di noi adulti operatori, ci aiutano a far capire ai ragazzi che le relazioni tra le persone, sono una cosa seria.
Mai annunciare qualcosa che sappiamo non potrà avvenire o sarà molto difficile che avvenga. La credibilità aiuta la fiducia del ragazzo nei confronti dell’adulto, la fiducia aiuta la relazione educativa.
La parola “punizione” perciò perde senso, perde significato.
E’ invece corretto parlare di consequenzialità tra azione e “reazione”.
Non ha alcun senso per i ragazzi a cui viene accordata una pur minima responsabilità e fiducia, avere una “punizione” per un “guaio” combinato.
Si parla con il ragazzo (rispettandone dignità e privacy, non dileggiandolo), prendendo poi anche sanzioni severe (commensurate alla gravità del “guaio”) sempre collegate al “guaio” o a ciò che simboleggia, spiegando il tutto al ragazzo, sostenendolo e mai abbandonandolo, nella elaborazione educativa sia del “guaio” che della sanzione conseguente.
Ad es. se un ragazzo ruba dei soldi dalla cassa comune:
Ø Risarcisce i soldi rubati
Gli vengono tolte per un periodo delle responsabilità che riguardano il suo essere degno di fiducia, l’essere “grande”, meglio se sono responsabilità che riguardano la comunità della casetta (i soldi erano della “cassa comune”).

 

(1) CasettAcinque, “Questionario in preparazione dell’incontro-Verifica tra Operatori dell’anno 1998-’99”.Luglio 1999
(2) CasettAcinque, op. cit.
(3) “l’adulto operatore”, continueremo a chiamarlo così, visto che è fondamentale che gli operatori a tutti i livelli, si ricordino che le loro responsabilità sono quelle di un adulto e di un “tecnico” dell’educazione, sia esso un assistente, un Educatore, etc., etc…

 

* Educatore Professionale della CasettAcinque-Arcobaleno,
reparto di utenza (16 ragazzi) a tempo pieno

 

Written by Mauro Biani

Marzo 8th, 2025 at 12:14 am

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