Light. Il mito occidentale della leggerezza

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"Da sempre, da molto prima che Italo Calvino ne facesse la sua Musa, la leggerezza, al solo nominarla, suggerisce libertà. La libertà non metaforica del volo, della danza e della corsa, quella del pensiero libero, dell’approccio acuto e spiritoso, del movimento senza gravami. Perfino le due prime accezioni riduttive o negative che mi vengono in mente (la musica leggera, e quel "donna leggera" che fu, anni fa, eufemismo per dire donna dai molti amori) suscitano simpatia, indicano la venialità della leggerezza, la sua (appunto) non gravita. Perché leggera (qual Piuma al vento, vedi Rossini e vedi la memorabile scena finale di Forrest Gump) è la vita, veloce e leggera, cangiante e leggera, e guai a chi, in sede di rendiconto, tale non la riconosce. "Light" non è la stessa cosa. Light si sposa più a una lattina che a un racconto, più ai consumi che ai pensieri. E’ uno dei (tanti, troppi) concetti che entrando a far parte del lessico di mercato hanno mutato significato e mettono istintivamente in allarme, hanno un’aura ambigua, ruffiana, sospetta. Starebbe a indicare, light, la radicale riduzione delle sostanze dannose (meno zuccheri, meno nicotina, meno grassi), in modo che ciascuno possa mantenere le sue abitudini "heavy" mutando la qualità e non la quantità delle abitudini di consumo. Perché le quantità, si sa, sono sacre. E la loro vituperata diminuzione, di conseguenza, è un tipico tabù della società moderna. Da scongiurare a qualunque costo. In questa chiave, il profluvio di prodotti light che si affiancano ai loro grevi e allegri fratelli "pesanti" ci umilia leggermente, per non dire che ci irrita: escludendo a priori l’ipotesi della rinuncia, o del mutamento di consumi, la vasta gamma del light ci sembra una specie di metadone per una categoria di drogati irredimibili, cioè noi. La scritta light sulla confezioni ci dice: poiché so benissimo che non sei in grado di ingozzarti di meno, di rumare di meno, di ingrassare di meno, di spendere di meno, ti aiuto io a ingozzarti diversamente, ottimizzando il (tuo) danno. Cioè volendo essere cinici – estendendo ulteriormente la tua dipendenza da me, fino a nuovi e seducenti territori. Escluso, comunque, che tu possa fare a meno della crema di formaggio. La crema di formaggio è entrata, ormai, nel paniere dei tuoi bisogni primari. Noi, per venirti incontro, te la diamo con pochi grassi. Ringraziaci, e non ti permettere di sgarrare… Ed ecco che il leggero diventa l’alibi per proseguire in una conduzione pesante delle proprie giornate di consumatore, lungo i binari fissi di quantità mai riducibili e anzi sempre in obbligo di aumentare, pena il deperimento dei gloriosi indici di produzione… In buona sostanza l’universo light qualifica il consumismo come una malattia incurabile. E ne siamo talmente convinti, noi per primi, da considerare il light un provvidenziale farmaco, non accorgendoci che il farmaco istituzionalizza il nostro status di lungodegenti… Perché se è ovvio che il diabetico debba necessariamente ricorrere a prodotti senza zucchero, e il celiaco senza glutine, nessuno costringerebbe il portatore di metabolismo sano a divorare creme di formaggio. E’ un alimento rinunciabile. Oppure – se irrinunciabile – da assumere in mediche quantità, possibilmente smaltendo i grassi con un po’ di esercizio fisico in più. Ma mangiare di meno, e muoversi di più, è qualcosa che confligge, ideologicamente, con il prototipo bulimico, sedentario, teledipendente e spesso obeso, del consumatore ideale, un terminale a volume variabile (estendibile all’infinito, magari con l’aiuto della pattumiera di casa) che dev’essere in grado di smaltire le derrate in eccesso che l’Occidente produce al ritmo molto heavy del profitto. C’entra qualcosa, tutto questo, con l’idea di leggerezza che ci portiamo nel cuore? Direi proprio di no. Se nelle pubblicità vediamo leggiadre signore danzare, e agili signori sorridere, e ci spiegano che questo avviene per merito di un massiccio ricorso a prodotti light, capiamo (al volo, perché siamo leggeri) che il modello di vita suggerito non ritocca che di qualche virgola il contratto che ci lega, anzi ci incatena, al nostro status di consumatori. Senza essere estremisti o luddisti o quaresimali o apocalittici o un altro degli infiniti epiteti che bollano chi "rema contro", ormai abbiamo capito che la sola via per la leggerezza, qui e ora, sta nella critica delle quantità, cioè l’unica critica ritenuta inammissibile. Quando il povero ministro Sirchia ebbe a dire, con un’illuminazione così illuminata da essere destinata al pubblico dileggio, che si dovevano dimezzare le porzioni, si levò un coro quasi unanime di sghignazzi. Ma la sortita di Sirchia (leggera per definizione: mezzo etto pesa meno di un etto…) faceva il paio con quella, anch’essa dimenticata, di Albino Luciani quando disse che Dio, più che padre, è madre. Secondo Dario Fo, fu Dio in persona a fulminare dopo pochi giorni quel papa effìmero e sovversivo, cogliendo nelle sue parole l’immediato crollo dell’intero castello ideologico e culturale sul quale poggia l’Occidente. Nel suo piccolo, il Sirchia che indica l’ovvio (dimezzare le porzioni, ecco l’unica strada certa) è ugualmente esiziale per i meccanismi economici e psicologici che regolano le nostre vite. Se davvero, in un esaltante empito rivoluzionario, gli umani di Occidente scegliessero come unico vincolo la qualità, e riconoscessero nella quantità smodata il nemico, che ne sarebbe di noi? Il vero light, date retta, è in pochi grammi di eccellente formaggio piuttosto che in uno di quei catini di yogurt light che paiono fatti apposta per mangiarne a gogò, convinti di essere immuni da qualunque conseguenza. Il meno e meglio (che fa eco a quel "lavorare meno, lavorare tutti" che fu uno dei pochi slogan davvero rivoluzionari degli anni Settanta) è la sola vera ricetta della leggerezza. Ma contiene la parola "meno": ingrediente vietato nei nostri menù, concetto esiliato dalle nostre mentalità." (Michele Serra, Diario de "La Repubblica" 22 agosto 2006)

Written by Mauro Biani

Agosto 23rd, 2006 at 2:32 am

3 Responses to 'Light. Il mito occidentale della leggerezza'

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  1. E’immediato, nella mente, associare light a qualcosa di positivo. Nella nostra cultura contemporanea ciò che è pesante è anche lento, da poter restare indietro, dobbiamo essere invece al passo, ma al passo di chi o cosa? e soprattutto..perchè?

    Opernon

    23 Ago 06 at 09:02

  2. ma “la piuma al vento”, Mauro, non appartiene alla verdiana Rigoletto? Forse serra cita Rossini per continuare l’elenco (per il fraseggio del canto…)?

    animasalva

    23 Ago 06 at 18:16

  3. Hai ragione oh attentissimo animasalva 🙂 chiedo venia, avevo dimenticato, nella trascrizione dell’incolpevole Serra, una virgola. Quindi è la seconda che hai detto. Virgola rimessa al suo posto 😉

    M.

    broiolo

    24 Ago 06 at 01:29

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