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Due spettri si aggirano per l’Italia suscitando preoccupazione ed insicurezza a livelli oggettivamente superiori rispetto alla loro effettiva consistenza.
I dati sono lì a dimostrare che non esiste, in ambedue i casi, una situazione di intollerabile emergenza, ma che anzi siamo appena agli inizi di fenomeni inevitabili, intrinseci all’era della globalizzazione e dell’integrazione dei mercati, che in altri Paesi le medesime fattispecie si presentano con maggiori intensità, violenza ed accelerazione.
Eppure la gente in carne ed ossa non parla d’altro ed è pronta a credere nei primi ciarlatani che lascino intravedere la possibilità di tornare – solo a volerlo – agli standard del “piccolo mondo antico”.
Così, una politica priva di principi, di ideali forti e di “capacità di fare” non si dà cura di guidare il “popolo” ad accettare, in una logica di convivenza e di adeguamento, contesti e situazioni che appartengono alla modernizzazione della società (un processo, questo, che non avanza sempre in modo rettilineo lungo il sentiero del progresso, ma che richiede spesso strappi, rotture e sacrifici), ma strumentalizza i sentimenti d’insicurezza diffusa – e talvolta solo “percepita” – per perseguire dei facili vantaggi elettorali a scapito dei propri avversari.
Senza rendersi conto dei danni profondi che tale linea di condotta determina, fino ad “avvelenare i pozzi” della comunità civile.
Gli spettri sono, da un lato, l’immigrazione e le trasformazioni del lavoro, dall’altro, ormai definite – persino nei testi di legge – come condizioni di precarietà. Questi fenomeni – ambedue discendenti dalla globalizzazione dell’economia e dall’apertura dei confini – producono sentimenti e aspettative di insicurezza assolutamente esagerati, smentiti dai dati di fatto e dalle statistiche ufficiali, ma si avvitano insieme in quegli idola tribus che, in una società organizzata, diventano verità effettive anche quando sono soltanto sensazioni percepite.
Succede così che la sinistra – temendo che l’iniziativa della destra contro l’immigrazione selvaggia possa avvantaggiarla nel consenso popolare – si impantani in una decretazione d’urgenza criticata in tutta Europa, al punto da consentire al premier rumeno di accusare il governo italiano di razzismo. Ma succede pure che un’odiosa campagna contro la precarietà – costruita su dati falsi ed orchestrata da un’assurda ed irresponsabile campagna massmediatica – faccia breccia nell’opinione pubblica e sia caricata di ogni possibile nefandezza, persino della tragedia delle “morti bianche” (che in Italia sono in numero inferiore della media europea e di quelle di Francia e Germania).
Il centro destra ha il dovere di ristabilire la verità e di difendere la moderna legislazione del lavoro dell’ultimo decennio, intessuta di coerenze e di linearità (solo un’odiosa faziosità continua a contrapporre la legge Biagi al pacchetto Treu). “L’Italia ha fatto notevoli passi in avanti – ha dichiarato recentemente Carlo Dell’Aringa – sul fronte della riduzione della rigidità del mercato del lavoro e che a questa maggiore flessibilità è corrisposto un forte incremento dell’occupazione. Se si considera – ha proseguito – il tasso di occupazione dal 1997 al 2006 si vede che siamo cresciuti dal 51,5% al 58,4%. Una performance eccezionale – sono sempre parole di Dell’Aringa – soprattutto se si pensa che è avvenuta in un periodo in cui l’economia è cresciuta molto lentamente”.
Ma non basta più la logica del bicchiere mezzo pieno: delle risposte vanno date.
Come la sinistra non è convincente quando predica il lassismo nei confronti dell’immigrazione, così il centro destra non può sperare di convincere gli italiani ad accontentarsi del meno peggio perché il lavoro stabile appartiene ad una fase dello sviluppo tramontata e la regola del futuro sarà la flessibilità.
In tema di lavoro, la sinistra commette l’errore di pensare che bastino delle norme per invertire una tendenza dell’economia e alla fine si riduce a stabilizzare quanti hanno avuto la fortuna di appoggiare i loro “magnanimi lombi” su di una sedia ubicata in un ufficio della pubblica amministrazione.
Il centro destra deve mettere in campo delle proposte nuove in materia di lavoro e di welfare.
Deve saper indicare un’altra scala di convenienze in grado di interagire con alcune forze sociali (i giovani prima di tutto) interessate a trovare nel cambiamento delle diverse garanzie. La sinistra cerca di tenere insieme insiders e outsiders, anziani e giovani, facendo delle promesse insostenibili, come se i privilegi dei primi potessero essere estesi anche ai secondi soltanto a volerlo fare. Il centro destra deve sparigliare i giochi e darsi dei riferimenti sociali, dimostrando che un nuovo ordine può nascere soltanto dalla rottura delle alleanze sociali della sinistra.
Non occorrerebbe molta fantasia. Basterebbe rileggere il Libro bianco curato da Marco Biagi, laddove parlava di riforma “simmetrica” sia del contratto a tempo indeterminato sia di quello a termine, che renderebbe “meno difficoltoso il passaggio a condizioni di lavoro stabile per i lavoratori che iniziano il proprio percorso con occupazioni temporanee”. O quando, a proposito dello Statuto dei lavori, Marco scriveva che era da ritenersi ormai superato il tradizionale approccio regolatorio delle differenti tipologie di lavoro, mentre era “indispensabile una complessiva rivisitazione del nostro ordinamento giuridico del lavoro innanzitutto estendendo livelli minimi di tutela a tutte le forme in cui si estrinseca l’attività lavorativa”. O quando ipotizzava percorsi “a garanzia dell’effettiva volontà del lavoratore (per realizzare una sorta di derogabilità assistita secondo meccanismi di certificazione e/o validazione della volontà individuale), ad opera di istituzioni pubbliche o anche delle stesse parti sociali, al fine di corrispondere alle attese di flessibilità delle imprese ma anche alle nuove soggettività dei prestatori di lavoro”.
Anche sul welfare c’è bisogno d’innovazione. Nel campo delle forme di protezione sociale esiste una differenza sostanziale tra il lavoratore e il cittadino. Solo il primo è titolare di veri e propri diritti sociali. Al secondo è riconosciuta solo una tutela residuale.
Spetta al Popolo della libertà proporre un’impostazione differente che si basi su di una nuova generazione di diritti di cittadinanza, inclusivi di un ampio ventaglio di diritti sociali (reddito di cittadinanza, pensione di base, salario minimo, tutela della non autosufficienza), fondati sui principi della sussidiarietà e dell’integrazione tra pubblico e privato. Lungo questa via il centro destra sarebbe in grado di proporre un’alternativa alle pratiche di concertazione (che altro non sono se non la difesa delle vecchie alleanze sociali) e di promuovere anche nuove soggettività e nuovi protagonismi da parte degli interessi oggi esclusi od emarginati. In fondo è la medesima logica che dovrebbe condurre il centro destra a qualificarsi come la forza politica che prende a riferimento i meriti e i bisogni e su di essi costruisce quella nuova coalizione di forze ed interessi sociali orientati alla modernizzazione del Paese.
Ecco perché non basta più difendere la legge Biagi. Le intuizioni di Marco devono essere sviluppate e rese feconde.
Due spettri si aggirano per l’Italia suscitando preoccupazione ed insicurezza a livelli oggettivamente superiori rispetto alla loro effettiva consistenza.
I dati sono lì a dimostrare che non esiste, in ambedue i casi, una situazione di intollerabile emergenza, ma che anzi siamo appena agli inizi di fenomeni inevitabili, intrinseci all’era della globalizzazione e dell’integrazione dei mercati, che in altri Paesi le medesime fattispecie si presentano con maggiori intensità, violenza ed accelerazione.
Eppure la gente in carne ed ossa non parla d’altro ed è pronta a credere nei primi ciarlatani che lascino intravedere la possibilità di tornare – solo a volerlo – agli standard del “piccolo mondo antico”.
Così, una politica priva di principi, di ideali forti e di “capacità di fare” non si dà cura di guidare il “popolo” ad accettare, in una logica di convivenza e di adeguamento, contesti e situazioni che appartengono alla modernizzazione della società (un processo, questo, che non avanza sempre in modo rettilineo lungo il sentiero del progresso, ma che richiede spesso strappi, rotture e sacrifici), ma strumentalizza i sentimenti d’insicurezza diffusa – e talvolta solo “percepita” – per perseguire dei facili vantaggi elettorali a scapito dei propri avversari.
Senza rendersi conto dei danni profondi che tale linea di condotta determina, fino ad “avvelenare i pozzi” della comunità civile.
Gli spettri sono, da un lato, l’immigrazione e le trasformazioni del lavoro, dall’altro, ormai definite – persino nei testi di legge – come condizioni di precarietà. Questi fenomeni – ambedue discendenti dalla globalizzazione dell’economia e dall’apertura dei confini – producono sentimenti e aspettative di insicurezza assolutamente esagerati, smentiti dai dati di fatto e dalle statistiche ufficiali, ma si avvitano insieme in quegli idola tribus che, in una società organizzata, diventano verità effettive anche quando sono soltanto sensazioni percepite.
Succede così che la sinistra – temendo che l’iniziativa della destra contro l’immigrazione selvaggia possa avvantaggiarla nel consenso popolare – si impantani in una decretazione d’urgenza criticata in tutta Europa, al punto da consentire al premier rumeno di accusare il governo italiano di razzismo. Ma succede pure che un’odiosa campagna contro la precarietà – costruita su dati falsi ed orchestrata da un’assurda ed irresponsabile campagna massmediatica – faccia breccia nell’opinione pubblica e sia caricata di ogni possibile nefandezza, persino della tragedia delle “morti bianche” (che in Italia sono in numero inferiore della media europea e di quelle di Francia e Germania).
Il centro destra ha il dovere di ristabilire la verità e di difendere la moderna legislazione del lavoro dell’ultimo decennio, intessuta di coerenze e di linearità (solo un’odiosa faziosità continua a contrapporre la legge Biagi al pacchetto Treu). “L’Italia ha fatto notevoli passi in avanti – ha dichiarato recentemente Carlo Dell’Aringa – sul fronte della riduzione della rigidità del mercato del lavoro e che a questa maggiore flessibilità è corrisposto un forte incremento dell’occupazione. Se si considera – ha proseguito – il tasso di occupazione dal 1997 al 2006 si vede che siamo cresciuti dal 51,5% al 58,4%. Una performance eccezionale – sono sempre parole di Dell’Aringa – soprattutto se si pensa che è avvenuta in un periodo in cui l’economia è cresciuta molto lentamente”.
Ma non basta più la logica del bicchiere mezzo pieno: delle risposte vanno date.
Come la sinistra non è convincente quando predica il lassismo nei confronti dell’immigrazione, così il centro destra non può sperare di convincere gli italiani ad accontentarsi del meno peggio perché il lavoro stabile appartiene ad una fase dello sviluppo tramontata e la regola del futuro sarà la flessibilità.
In tema di lavoro, la sinistra commette l’errore di pensare che bastino delle norme per invertire una tendenza dell’economia e alla fine si riduce a stabilizzare quanti hanno avuto la fortuna di appoggiare i loro “magnanimi lombi” su di una sedia ubicata in un ufficio della pubblica amministrazione.
Il centro destra deve mettere in campo delle proposte nuove in materia di lavoro e di welfare.
Deve saper indicare un’altra scala di convenienze in grado di interagire con alcune forze sociali (i giovani prima di tutto) interessate a trovare nel cambiamento delle diverse garanzie. La sinistra cerca di tenere insieme insiders e outsiders, anziani e giovani, facendo delle promesse insostenibili, come se i privilegi dei primi potessero essere estesi anche ai secondi soltanto a volerlo fare. Il centro destra deve sparigliare i giochi e darsi dei riferimenti sociali, dimostrando che un nuovo ordine può nascere soltanto dalla rottura delle alleanze sociali della sinistra.
Non occorrerebbe molta fantasia. Basterebbe rileggere il Libro bianco curato da Marco Biagi, laddove parlava di riforma “simmetrica” sia del contratto a tempo indeterminato sia di quello a termine, che renderebbe “meno difficoltoso il passaggio a condizioni di lavoro stabile per i lavoratori che iniziano il proprio percorso con occupazioni temporanee”. O quando, a proposito dello Statuto dei lavori, Marco scriveva che era da ritenersi ormai superato il tradizionale approccio regolatorio delle differenti tipologie di lavoro, mentre era “indispensabile una complessiva rivisitazione del nostro ordinamento giuridico del lavoro innanzitutto estendendo livelli minimi di tutela a tutte le forme in cui si estrinseca l’attività lavorativa”. O quando ipotizzava percorsi “a garanzia dell’effettiva volontà del lavoratore (per realizzare una sorta di derogabilità assistita secondo meccanismi di certificazione e/o validazione della volontà individuale), ad opera di istituzioni pubbliche o anche delle stesse parti sociali, al fine di corrispondere alle attese di flessibilità delle imprese ma anche alle nuove soggettività dei prestatori di lavoro”.
Anche sul welfare c’è bisogno d’innovazione. Nel campo delle forme di protezione sociale esiste una differenza sostanziale tra il lavoratore e il cittadino. Solo il primo è titolare di veri e propri diritti sociali. Al secondo è riconosciuta solo una tutela residuale.
Spetta al Popolo della libertà proporre un’impostazione differente che si basi su di una nuova generazione di diritti di cittadinanza, inclusivi di un ampio ventaglio di diritti sociali (reddito di cittadinanza, pensione di base, salario minimo, tutela della non autosufficienza), fondati sui principi della sussidiarietà e dell’integrazione tra pubblico e privato. Lungo questa via il centro destra sarebbe in grado di proporre un’alternativa alle pratiche di concertazione (che altro non sono se non la difesa delle vecchie alleanze sociali) e di promuovere anche nuove soggettività e nuovi protagonismi da parte degli interessi oggi esclusi od emarginati. In fondo è la medesima logica che dovrebbe condurre il centro destra a qualificarsi come la forza politica che prende a riferimento i meriti e i bisogni e su di essi costruisce quella nuova coalizione di forze ed interessi sociali orientati alla modernizzazione del Paese.
Ecco perché non basta più difendere la legge Biagi. Le intuizioni di Marco devono essere sviluppate e rese feconde.
(Berlusconi, Febbraio 2008)
utente anonimo
1 Mag 08 at 13:15 edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
O muori sul lavoro o ti rapiscono…..che scelta !
Saluti
Liberazona
utente anonimo
2 Mag 08 at 17:09 edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>